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Dolina dolens

>> mercoledì 31 dicembre 2008

Ci si arrivava da una stradina a sinistra poco prima dell'abitato di Fernetti 1. Si lasciava il nastro d'asfalto per addentrarsi su una strada in terra battuta (“carso battuto”, dovrei dire, visto che, da noi, le strade di quel genere di terra ne hanno ben poca).



Ad uno slargo si doveva lasciare l'automobile e continuare a piedi .... Arrivavano incontro delle colonne alte, in pietra del carso 2 , monoliti che si ergevano nella radura a segnare la via. Poi i tre archi, in pietra carsica come tutto ciò che ci attendeva.



Si giungeva al bordo della dolina 3..... ed il luogo non diventava certo meno strano!






In alcuni punti, dal bordo, sorgevano costruzioni, sempre bianchissime, sempre sconnesse, sempre di pietre grezze trovate nei dintorni; dai tetti spianati e coperti da rampicanti, che dal suolo salivano infrattandosi tra i sassi aspri e spigolosi di quelle arcaiche case, sorgevano a volte pinnacoli dalle strane, ma sempre naturali, forme bianche.



I fianchi della dolina erano segnati da un sentiero comodo che, a spirale, scendeva fino all'ampio fondo. Sul lato verso monte continuavano, per tutto il percorso, ad aprirsi celle, ripostigli, antri, a volte chiusi da cancellate di rami intrecciati, alternati ad alberi che spesso coprivano il cielo. Ma cosa avrebbero dovuto contenere?



Il lato esterno del sentiero era delimitato da stele di varie dimensioni e ancora alberi e fronde che salivano dai piani inferiori. A volte ci si ritrovava a camminare sotto volti e volute ed il fondo lo si vedeva tra un'arcata e l'altra.



Il mondo conosciuto sembrava ormai lontano, confinato dai primi tre archi in pietra, ed il silenzio caratteristico delle doline aumentava l'aspetto surreale del luogo. Neppure la bora 4 riusciva facilmente a rompere quei confini non segnati.



La spirale finiva in uno spiazzo largo e sgombro da rami e fusti, contornato ancora da strane costruzioni, al centro un tavolo in pietra lungo: da un lato scranni dall'alto schienale, dall'altro sgabelli bassi.



Davanti agli alti scranni, in alto sull'ultima voluta del sentiero, esposto alla vista di tutti, ma protetto alle spalle da una colonna di pietra che si apriva ai lati in due archi, un .... trono?
Ai suoi piedi, sul fondo una specie di altare sacrificale, forse, o un focolare.



Cos'era tutto questo?



Di nomi ne aveva tanti. Per me e per i miei compagni era il Tempio del Sole, ma per molti è stato il Tempio della Luna, la Dolina dei Druidi, la Dolina delle Streghe, più semplicemente la Dolina di Fernetti o, ancora meno pittorescamente, la Dolina Rossoni.



Si diceva che di notte era meta di spiritisti, che si tenevano messe nere, forse orge rituali.



Si diceva che solo quando la luna infilava i suoi raggi fino al fondo della dolina, gli schienali degli alti scranni prendevano vita ed i Saggi (o i Giganti) che lì sedevano lasciavano vedere i loro volti.



Si diceva .. ma io, in nessuna delle discese durante l'arco di circa 5 anni, ho notato nulla di funesto, di torbido o di maligno (tranne qualche mozzicone di candela consumata) ed il mio diciannovesimo compleanno, festeggiato in quel posto “fuori”, non scatenò né le ire degli elementi né quelle di oscuri dei. Men che meno venni punita per essermi seduta tante volte sul Trono del Re, chiunque egli fosse.



Devo ammettere, però, che forse neppure la curiosità senza limiti dei miei sedicianni avrebbe vinto la paura di scendere lì di notte, al chiaro di luna.



Si dice, ancora, che altro non fosse che un set cinematografico per un film mai nato. Altre voci lo vogliono costruito dai nazisti cultori del “Sole Nero” 5.



Molti “si dice” per una manciata di ricordi di 30 anni fa, di un'età nella quale non ci si meraviglia quasi di nulla perchè ogni giorno porta una meraviglia diversa, nella quale non ci si chiedono tanti perchè, visto che tutto è nuovo e tutto è possibile.



L'ho cercato pochi giorni fa, quel luogo, ritrovandone le tracce nel web e scoprendo che l'autoporto di Fernetti 6 l'aveva solo sfiorato, non cancellato come credevo. L'ho ritrovato distrutto non solo dal tempo, forse dall'abbandono degli dei o delle misteriose sette sataniche, forse semplicemente dal vandalismo dell'uomo; la natura ha ripreso il possesso di quella dolina, le intemperie hanno segato i suoi fianchi, cancellando quasi il sentiero.








E se da un lato ho scoperto che i monoliti avevano un'anima in tondino di ferro che li rendeva solidi e svettanti e che i tetti degli stazzi erano impermeabilizzati con telo catramato, dall'altro ho ritrovato quella strana e surreale atmosfera che ricordavo.



Set cinematografico, dicevano. Quindi una costruzione fatta per durare qualche mese. Perchè rinforzare le colonne con tondino di ferro, allora? Perchè impermabilizzare i tetti?



Opera della frangia mistica dei nazisti? Forse le tecniche costruttive che oggi si possono veder riaffiorare dalle macerie sono troppo recenti.



Troppo costosa e troppo laboriosa, credo, anche per qualche setta locale.




Chi allora né è l'autore?



Questa è una domanda che giro a voi..... visto che nessuna luna può dar vita ormai ai profili dei saggi Giganti, scomparsi, anche loro, con gli alti scranni.











1.Frazione di Monrupino (il più piccolo comune della provincia di Trieste), situato sul confine con la Slovenia



2.Il termine carso deriva dalla parola indoeuropea Kar che significa pietra, roccia. Il carso è formato prevalentemente da rocce calcaree (chimicamente sali quindi altamente attaccabili dall'acqua), che costituiscono la quasi totalità del suolo carsico, alternate a vegetazione discontinua. Questa struttura rende il terreno sconnesso e fortemente penetrabile dall'acqua, proprio per questo motivo è difficile trovare in carso corsi d'acqua o stagni, posto che l'acqua penetra direttamente nel sottosuolo.



3.Deriva dallo Slavo dol (valle), originate da un punto nel quale il terreno è particolarmente penetrabile dall'acqua. Da questo punto inizia a diffondersi un'azione di erosione che determina un rapido abbassamento del livello del suolo.



4.Deriva da boreale (settentrionale) ed è un vento freddo di provenienza nord/nord-orientale, discontinuo (che alterna cioè raffiche improvvise a totale calma di vento). A Trieste soffia con direzione est – nord-est, causando anche vivaci moti ondosi e di deriva. La bora può essere chiara (con cielo terso) o scura (con cielo nuvoloso).



5.Schwarze Sonne (Sole Nero): simbolo solare che sembra fosse usato dalla Vril Gesellschaft, associazione esoterica dei primi anni '20 del XX secolo, e che è poi stato assorbito anche nella mistica nazista.



6.Terminal Intermodale di Fernetti: situato sull'omonimo confine con la Slovenia rappresenta uno dei corridoi più importanti del traffico su ruote ed è collegato anche con le strutture ferroviarie.




















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